Il pane in cucina e la ribollita toscana

Il pane è il vero protagonista della cucina fiorentina, personaggio e interprete di una cucina povera e contadina che è stata recuperata dalla cucina di famiglia, schietta e tradizionale, oltre che da una ristorazione “consapevole”.

Popolare e familiare, la “Cucina del pane” non è mai stata abbandonata, nemmeno dalla Firenze turistica e, prima, nella cucina ottocentesca che si ispirava alla cucina francese. Gli strati sociali più bassi insieme ai cuochi delle trattorie e delle osterie l’hanno tenuta viva.

Quali sono questi piatti? La zuppa di cavolo nero e tutti i suoi derivati… la ribollita, che è sua figlia legittima, fino alla pappa al pomodoro e alla panzanella, le figlie più povere. Senza dimenticare il pane con l’olio, con l’aglio, col cavolo, fino alla fettunta e ai crostini.

In primis… fu la “panata” una minestra del Trecento fatta di pane raffermo grattugiato, uova, cacio, noce moscata e sale. Il Boccaccio ci racconta del “pan lavato” e nei vicoli della Firenze di Pietro Aretino, ristagnava l’odore delle “Agliate” e delle “Porrate”, tutti piatti che non potevano far a meno di pane raffermo.

La ribollita

La Ribollita è sicuramente il piatto simbolo della tradizione contadina toscana, nata come ricetta di recupero è arrivata fino a noi per diventare un classico della cucina regionale. Le sue origini risalgono al Medioevo, quando la necessità di sfruttare al massimo le risorse a disposizione portava a creare piatti semplici, ma sostanziosi e ricchi di sapore.

Il nome “ribollita” compare ufficialmente per la prima volta nel 1910, grazie al libro di ricette di Alberto Cougnet, anche se molto più antica. Un riferimento precedente si trova nel libro di Pellegrino Artusi La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, dove la zuppa è descritta come “zuppa toscana di magro dei contadini”. La ricetta da lui riportata prevedeva ingredienti simili a quelli della ribollita moderna: pane raffermo, fagioli bianchi, olio, acqua, cavolo cappuccio, cavolo nero, bietole, patate e, in alcune varianti, anche cotenne o prosciutto.

Ma perché si chiama Ribollita? Semplice, perché nelle case di campagna si cucinava questa zuppa in grandi quantità il venerdì, giorno di magro, quindi senza carne, come comandava la Chiesa. La minestra veniva poi riscaldata e “ribollita” nei giorni successivi, per ottimizzare tempo e risorse disponibili.

Questa seconda cottura ne esaltava il sapore, rendendola ancora più gustosa.

La versione più classica si basa su tre ingredienti fondamentalipane sciocco raffermo, cavolo nero e fagioli: una ricetta semplice e naturale, che rappresenta uno degli esempi più genuini della cucina povera toscana.