A Firenze si usava spesso nel senso figurato di “andare in solluchero, uscire fuori di sé dalla contentezza” con il significato cioè di essere felici.
L’uso di questa espressione la si trova già nel Vocabolario della Crusca del 1612, dove la “succiola” è anche la castagna cotta nell’acqua.
La trasformazione da “brodo di succiole” a “brodo di giuggiole”, avviene con la diffusione delle giuggiole in medicina, come decotti contro la tosse e altre problematiche delle vie respiratorie, ma anche dall’uso in cucina nella preparazione di marmellate.
Le giuggiole, frutto dell’albero del giuggiolo, contengono ben 20 volte in più di vitamina C rispetto ad altri agrumi e sono ricche di vitamine B1, B2 e B6. Essiccate o ridotte in polvere, vengono utilizzate nella medicina tradizionale cinese contro ansia e insonnia, per prevenire le infezioni e migliorare le capacità digestive.
Ha anche funzione anti-infiammatoria per proteggere il fegato e i reni.
Oggi è un frutto quasi scomparso. Una volta le giuggiole essiccate, si trovavano non solo dall’ortolano, ma anche sui banchi dei venditori di golosità per i bambini, insieme ai “semi” di zucca, ai “brigidini“ e al “croccante” (nocciole tostate e miele con zucchero caramellato), ai “duri di menta”…
Un “cartoccio” di giuggiole a merenda, e si faceva il pieno di vitamine!
Altri tempi.